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Enamorada!

 

 

E’ difficile ordinare le idee inoltre è risaputo che sono disordinata.

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Durante l’anno che ho vissuto in Bolivia mi sono innamorata tanto e tantissime volte:

quando bevevo la spremuta d’arancia fatta dalla donna che aveva il suo carrettino pieno d’arance

quando andavo al “mercado central” e mangiavo la sopa de manì

quando i bambini fremevano per giocare e mi dicevano “jugamos, jugamos”

quando arrivavano all’albergue e le ragazze mi salutavano con un “Buenos dias Doña Elisa”

quando il 15 maggio è arrivata Silvia e da allora abbiamo condiviso insieme la vita boliviana

quando il 29 giugno è arrivata Nadia, la mia amica del cuore

quando il 28 luglio ho riabbracciato mamma, papà, Vito e Grazia e li ho accolti in “tierra chapaca”

quando l’8 dicembre Matias mi ha raggiunto a Tarija, senza se e senza ma

quando sono andata a Tocaña, nella comunità afro-boliviana e ho vissuto 3 giorni con loro dormendo “en lo del pulga”

quando camminavo nella Isla del Sol dove non ci sono macchine ma solo natura e il cammino degli Inca

quando l’autobus si è rotto70 km da Potosì a 4000 m.s.m  e abbiamo dovuto aspettare nel nulla per 14 ore, fu allora che una signora mi ha dato le foglie di coca per sopportare l’altitudine e l’attesa

quando abbracciavo le mie ragazze dell’albergue e mi sorridevano

quando le ragazze mi raccontavano le loro storie di vita e sofferenza

quando dimostravano che loro volevano farcela, volevano andare avanti

quando sono nat@ Abril e Luis Fernando e le loro madri hanno amat@ subito le/i loro figl@

quando accompompagnavo i bambini all’asilo

quando andavo con le ragazze nei “centri di salute”

quando le ragazze erano contente e ridevano

quando io ero contenta e ridevo con loro

quando Aldo ha citofonato a casa ed è stata il primo amico che ho avuto

quando ho consociuto los y las chpacas

quando oragnizzavamo la varie feste e “despedidas”

quando le chiacchierate con Silvia duravano ore senza accorgercene e senza guardare l’orologio

quando i viaggiatori passavano da casa e lasciavano commenti sul nostro ibro degli ospiti

quando mi sentivo a casa…quando ho capito che la Bolivia era casa

Mi sono innamorata quando il 1 febbraio sono tornata in Italia ed ho abbracciato mia madre, mio padre e mia sorella

quando a Bologna ho riabbracciato il mio fratellino

quando il 9 marzo ho riabbracciato  Oma e Opa

quando ho riabbarcciato gli/le amici/he

Sono innamorata della vita e del mondo…continuerò ad innamorarmi il 21 aprile quando metterò piede in terra argentina.

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Affetto

Emozioni, amicizie, affetti, musica. Questo e tanto altro mi hanno tenuta lontana dall’aggiornare questo mio diario di viaggjo.

Grandi sorprese e forti emozioni non sono mancate. Di questo vorrei scrivere, avendo come sottofondo la musica boliviana o meglio Tarijena o meglio chapaca.

Voglio raccontarvi di loro, delle ragazze a cui tanto voglio bene, delle ragazze dell’albergue e dei loro figli e figlie.

Spesso mi capita di ripensare alla prima volta che ho messo piede nel posto che ormai è la mia seconda casa a Tarija. Ripenso all’imbarazzo inziale,  mi veniva chiesto da dove venissi, come era il mio Paese, che lingua si parlava, se ero sposata e se avevo figli. Perchè ero in Bolivia?!

Ad oggi le ragazze che vivono nell’albergue sono 12. E i bambini dal 4 settembre sono 9. Quella data rimarrà impressa nella mia mente, perchè è nata la figlia di una delle ragazze.

Quanti ricordi.

Ricordo il giorno in cui è arrivata Ino, era la fine di maggio. Un maggio fresco, anche se non propriamente invernale.

Ino era spaventata, triste e silenziosa. Ricordo le sue lacrime, il suo silenzio. Veniva da Villamontes dove aveva sofferto una violenza sessuale da parte del suo datore di lavoro. E’ scappata dal luogo dove lavorava e grazie ella Defensoria de la ninez y adolecencia è arrivata a Tarija, nell’albergue.

Ogni volta che arriva una ragazza nuova, le ragazze sono contente. “Che bello avremo una nuova amica” è quello che dicono.        C’è una forte una solidarietà tra di loro. Tutte hanno sofferto una violenza sessuale e tutte i primi giorni vorrebbero andare via da un posto di cui non ne capiscono la ragione. Pensano che non hanno fatto niente di male, che è un ingiustizia che loro siano state sradicate dalle loro case e dalle loro famiglie. “perchè ci portano via, mentre LUI rimane lì?” Pensano sia una punizione per aver fatto qualcosa di male.

Quando Ino è arrivata nell’albergue, a 17 anni era già incinta di 7 mesi. 7 mesi che volevano essere occultati,  utilizzava jeans e pantoloni stretti per dissimulare il più possibile una gravidanza non desiderata.

Con il passare del tempo il ventre di Ino cresce sempre più e i jeans non li ha più indossati, la gravidanza non viene più nascosta. Ino è sempre più bella, serena. Quando è arrivata non aveva quasi niente con sè: qualche vestito e delle foto di quando era piccola nella sua casa in campagna.  Aveva voglia di mostare quelle foto, quella parte di vita che porta sempre con sè. E’ stato quello il primo momento di confidenza che abbiamo avuto. Mi ha raccontato che è andata a scuola per una settimana, fino a quando la madre è morta e lei a 9 anni ha dovuto rinunciarci per aiutare il padre a lavorare. E’ questo il motivo per cui non sapeva nè leggere nè scrivere. Ma Ino ha appreso già tante altre cose nella sua vita.

Ricordi…                                                                                                                                                                                                                  Ricordo che quando Nadia (una mia carissima amica che ha vissuto un mese a tarija) faceva una lezione di inglese nell’albergue, Ino scriveva parole che cercava di leggere.                                                                                                                                                      Ricordo che quando c’è stato un diverbio con una ragazza dell‘albergue, Ino è scappata nella camera che condivide con le altre ragazze e piangendo diceva che voleva andare via, che non voleva più vivere nell’albergue.

Il tempo è passato e Ino si è completamnete integrata con le ragazze, si vogliono bene e si aiutano. Si confidano, scherzano, litigano e giocano.

Finalmente è arrivato il giorno in cui Ino e un’altra ragazza che come lei era nuova, sono state iscritte a scuola. Prima elementare, scuola belgrano, turno serale. Ino finalmente poteva andare a scuola e ralizzare il suo sogno, imparare a leggere e scrivere. Da allora Ino ogni giorno si esercita: a, e, i o, u…pa,po,pu,pe,pi…la,le,li,lo,lu…pala, lima, nina…le difficoltà non la spaventano, lei continua  provarci fino a quando non ci riesce. Si applica e si emoziona quando riesce a leggere quelle parole che inizialmente le risultano quasi impronunciabili. Un giorno mi ha raccontato con il sorriso stampato sulle labbre che era riuscita a scrivere tutte le parole che l’insegnante le aveva dettato. Era soddisfatta e orgogliosa di se stessa.

Nel frattempo la sua pancia cresce. Alla fine di agosto sono iniziano le prime contrazioni, i dolori alle gambe e alla schiena. Ma lei non si lamenta mai, vuole continuare a svolgere i compiti che le spettano nell’albergue, a esercitarsi nella scrittura e ad andare a scuola.

Fino a quando il 4 settembre alle 2 di notte le contrazioni diventano sempre più forti e non le permettono di dormire. Di corsa all’ospedale…è inziata la fase pre parto! Le contrazioni sono sempre più intense e lunghe. Si tratta un travaglio lungo perchè solo ale 16:30 la sua wawa (bambina in quechua) è nata. Ino è stanca, i dolori sono stati lancinati. La nostra Ino è mamma. Quando qualche ora dopo ho visto Ino che allattava sua figlia, mi sono emozionata. E’ difficile spiegare quello che ho provato ma so per certo che ho visto una ragazza stanca ma matura e responsabile. Spesso si girava verso la bambina che fino a qualche ora prima era nel suo ventre. Era accanto a lei e la guardava con affetto e sensibilità. Chissà cosa avrà pensato Ino. Forse che per qualche mese dovrà rinunciare ad andare a scuola, che dovrà allattare sua figlia ogni 2-3 ore, che dovrà cambiarle i pannolini, che adesso non è più sola, che sono in 2. Sarà difficile, questo lei lo sa. Non è una gravidanza desiderata, anche di questo è cosciente.

Oggi Ino è stata dimessa dall’ospedale ed è tornata all’albergue. Tutte le ragazze l’hanno abbracciata,” litigavano” per prendere in braccio la più piccola inquilina dell’albergue. La guardavano, l’accarezzavano. Le ragazze madri hanno ricordato il parto, Il peso e l’altezza dei loro figli. La wawa di Ino alla nascita pesava 3,9 kg e era alta 50 cm.

Adesso nell’albergue le ragazze incinta non sono più 2. Adesso c’è solo Liz, una quindicenne al 7 mese di gravidanza. E’ arrivata da una settimana e pian piano si sta tranquillizando e integrando.

Sono tante le storie di vita che sto imparando a conoscere, cha vorrei tutelare e raccontare. Ogni giorno vorrei ringraziarle per quello che ognuna delle ragazza mi insegna, per l’affetto sincero che ricevo.

Adelante chicas!

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Ma quanto è bella la Bolivia?!

Il giorno del capodanno aymara (solstizio d’inverno/21 giugno),un affiatato gruppetto composto da Silvia, Florian, Isabel e la sottoscritta, decide di salire su un pullman alla volta di una cittadina tranquilla ad ovest di Tarija.

Viaggiare in Bolivia non è semplice, per via delle strade dissestate. Dopo aver percorso 300 km in 8 lunghe ore, aver provato l’ebrezza di viaggiare su strade di montagna non asfaltate, di sentirsi sul orlo di un precipizio avvertendo un certo timore quando i tornanti erano più di 4 uno dientro l’altro, ho provato una incredibile gioia quando siamo arrivat@ a destinazione.

Tupiza si colloca ai piedi di imponenti e maestose montagne di roccia, tali da lasciare senza fiato chi le ammira. La natura ha un significato particolare, ed è interessante ascoltare legende legate alla forza della pachamama.

Abbiamo goduto del bel paesaggio roccioso e camminato sotto un sole cocente. Una simpatica coppia padre/figlio boliviani ci ha mostrato le bellezze dei dintorni di Tupiza e ci ha portati fino al sillar, nella valle della luna. Non a caso eravamo a più di 3000 metri d’altezza!

Una delle cose che più mi piace delle cittadine boliviane sono i mercati, la gente che vi lavora e i colori delle numerose varietà di frutta e verdura che si possono ammirare. Il mercato è un ottimo posto per assaporare gli abbondanti cibi boliviani. A Tupiza Ho mangiato un ottimo Saice e ho fatto colazione con Api (bevanda a base di farina di maiz) e sopaipillas (frittelle dolci): prelibate.

Le strade nelle città e cittadine boliviane sono piene: di colori, di odori, di gente di tutte le età. Ammiro la forza che hanno le e i bolivian@. Mi indigna la mancanza di diritti e la maniera in cui il governo Morales vanta di averli resi effettivi a tutti i livelli. Si lavora tanto e si guadagna poco, nonostante in Bolivia vi sia un salario minimo che i datori di lavoro non rispettano e purtroppo non tutti sanno di averne diritto.

Essere in Bolivia mi fa riflettere molto sulla percezione che ho sempre avuto della vita e del mondo. Sono visibilmente diversa, non vorrei essere identificata come gringa, ma forse il bello dell’interculturalità è questo. Nel vedere la differenza come ricchezza, nel non volersi necessariamente omologare, anche perchè sarebbe impossibile. Ognun@ di noi dovrebbe mantenere la sua autenticità e condividerla. Si tratta di un dare valore alle cose profonde che ci caraterizzano e ci definiscono come persone.

 

Non posso fare a meno di dire che sono contenta di non vivere il clima degli europei di calcio che si respira in italia e in Europa. Non tifo Italia, così come nessun’altra nazionale di calcio. Non mi interessa chi vince e chi perde.
Mi piacerebbe che l’Italia, l’Europa e il mondo vincessero la partita dell’uguaglianza, del rispetto e dei diritti. In questo momento mi piacerebbe che l’Europa vincesse la partita contro la Troika (UE, BCE e FMI). Che vincessero i precari, gli operai, i e le lavoratrici, gli e le studentesse, gli e e LGBTQ, i e le lavoratrici sessuali, i e le migranti, i e le persone tutte.

Mi piacerebbe che invece di numeri e di gol si parlasse delle diffcioltà e delle lotte che giornalmente si affrontano in nome della dignità.

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Por una vida libre de violencias


  • La violenza esercitata dagli uomini è frutto di una società patriarcale, è considerata uno strumento per risolvere conflitti, per dominare e controllare la donna. Però va sottolineato che usare o meno la violenza è una decisione personale, quindi in nessun caso può essere giustificata. La violenza contro le donne non è la conseguenza del carattere aggressivo dell’uomo o di una rabbia incontrollata, ma del desiderio di esercitare potere.

    E’ in questi termini che si è svolto il corso di formazione delle promotoras legales, al quale ho avuto l’onore di poter partecipare.
    ECAM (equipo de comunicacion alternativa de mujeres) forma donne che, in maniera volontaria, decidono di appoggiare donne maltrattate ad uscire dal ciclo della violenza.
    Come? Ascoltandole, aiutandole nei momenti critici, dalla presa di coscienza della perversione delle molteplici violenze alla denuncia; dando loro forza e strumenti psicologici e lagali necessari per terminare con la violenza che caratterizza la loro vita.
    Un altro aspetto fondamentale del lavoro delle promotoras legales è quello di aiutare le donne che hanno subito violenza, a costruire e/o ricostruire le reti sociali, quali famiglia e comunità (amici/che, istituzioni, vicine/i, colleghe/i).
    In Bolivia, come a tutte le latitudini, “le violenze” contro le donne, vengono esercitate per la maggior parte dei casi, nel “luogo sacro”: la famiglia, dal convivente, dal marito, dal padre, dal nonno, dallo zio, dal fratello.
    L’impunità e la mancanza di denuncia contro l’aggressore sono purtroppo molto frequenti. Questo è dovuto ai cosidetti “miti” che la società patriarcale tende a utilizzare per giustificare la violenza contro le donne, tanto da normalizzarla. I miti solitamente sono quelli che rimarcano i ruoli di genere:
    a)L’uomo è aggressivo e la donna sottomessa. In questo modo si giustifica il potere e il controllo che il marito, il padre, il fartello, lo zio hanno sulla donna, discriminando la donna e nagandole i suoi diritti,
    b)Se Lui la picchia, lei certamente avrà fatto qualcosa per meritarselo. In questo modo si colpevolizza la vittima, di conseguenza si accetta e si approva culturalmente la violenza.
    c)I panni sporchi si lavano in casa. Si considera la violenza un assunto privato.

    Questi miti vengono assunti come normali compiendo un grave danno alla società. A volte si tratta della stessa società che proclama i diritti fondamentali delle persone, siano donne o uomini.
    Sono questi stessi miti che alimentano il cosìdetto ciclo della violenza. Si tratta di momenti attraverso cui si articola la relazione tra l’uomo aggressore e la donna maltrattata. E’ un circolo vizioso che nasce con quella che viene chiamata Luna di miele, a cui succede un’accumulazione di tensione, un’esplosione violenta con maltrattamenti fisici e psicologici incontrollati che possono arrivare anche alla morte. Si tratta di un momento critico, la vita della donna corre un rischio e non sempre è facile denunciare in questa fase.
    A questa fase violenta, segue la fase della riconciliazione, seguita nuovamente dalla luna di miele, dall’accomulazione di tensioni e…il giro riparte.
    La donna maltrattata come conseguenza delle molteplici violenze di cui è vittima, vive nella paura, nel senso di colpa, nella mancanza di fiducia e di amore verso se stessa. Nn crede più nelle sue capacità e ha un’autostima molto bassa. La violenza non è mai solamente una: non vi è violena fisica che non sia accompagnata da quello psicologica: non vi è violenza sessuale che non sia accompagnata da violenza psicologica.
    E’ necessario que tutto questo venga denunciato, che ci si renda conta della dimensione di genere che la violenza contro le donne presenta. La società è cieca, ma le donne no. E’ difficile ma bisogna uscire dal ciclo della violenza, per spezzare la catena mortale con l’uomo aggressore.
    Quello che ho appena descritto non è un percorso lineare, facile da riconoscere e da rompere. La violenza contro le donne purtroppo è presente in tutto il mondo e a qualsiasi livello economico.
    La differenza tra i vari Paesi è nell’ambito normativo.
    In Boliva rispetto alla violenza intrafamiliare vi è una legge che la regolamenta: la N°1674/1994. Si tratta di una legge di 18 anni fa, che non tutela realmente la vittima della violenza.
    Per chi avesse voglia saperne di più, questo è il link della legge 1674/1994 contro la violenza intrafamiliare: http://bolivia.infoleyes.com/shownorm.php?id=1716
    In seguito allego la proposta di legge della coordinadora de la mujer che modifica la legge vigente: Proyecto_de_ley_modificaciones_ley_violencia_domestica_1674_78

    LA VIOLENZA NON SI CONCILIA – I DIRITTI NON SI NEGOZIANO

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Conoscendo!

Il tempo passa e non me ne rendo conto. Sono già passati due mesi da quando sono in Bolivia e uno da quando sono a Tarija.
Ogni giorno è talmente intenso che vorrei fermare il tempo, per poter assaporare ogni singolo momento che vivo. Da due settimane ho un diario personale, dove annoto le sensazioni e le emozioni che ho provato durante la giornata. Cerco di essere costante, non sempre ci riesco, ma è ottimo strumento per elaborare quello che vivo e quello che sento.
La mia compagna di servizio civile ovvero la mia futura coinquilina, non è ancora arrivata. Ufficialmete continuo a vivere sola, ma nella realtà, la mia casa è aperta. Aperta a chi vuole condividere con me il rituale del mate, ai viandanti, a chi vuole bere un caffè italiano o un vino boliviano, a chi ha voglia di compagnia, a chi ha bisogno di un posto dove dormire.
Ho inaugurato il guest-book della mia casa a Tarija: vi sono già due commuoventi dediche di una statunitense e due francesi che ho ospitato. Da pochi giorni sono ripartiti…Erano di passaggio a Tarija e continueranno il loro viaggio, laddovè il vento li porterà, lasciando una parte di loro, nei posti che incrontrano sulla loro strada.
Con loro ho scoperto dei luoghi affascinanti vicino Tarija, per esempio Coimata. Un luogo montagnoso e con piscine naturali.

Con i/le francesi e con altri ragazzi del “mondo”: boliviani, una giapponese e una olandese, ho scoperta l’ebrezza del percorrere 30 km in due giorni all’interno di una riserva naturale: la cordillera del Sama.

Siamo saliti fino ai 3.600 (ho di nuovo provato un pò di mal d’altura), per poi ridiscendere, percorrendo un cammino incaico, fino ai 2000 metri. La prima notte abbiamo dormito in una casa di un contadino. Una delle poche case, nel raggio di non so quanti chilometri. Essere circondata dalla sontuosità delle montagne e dalla semplicità dei prati e dei torrenti, senza l’interruzione del traffico di macchine e di persone, conduce ad un’armonia con la pachamama: la terra, la natura.

Il cammino dell’inca viene tutt’ora utilizzato per trasportare merci e raccolti, caricati sui muli.

La Bolivia offre uno spettacolo paesaggistico fenomenale. Valle, altiplano, amazzonia, fiumi, laghi…c’è tutto…tranne il mare. Che tuttavia i Boliviani, continuano a rivendicare al Cile.
La città di Tarija con i suoi 180.000 abitanti, dopo la tranquillità che si respira nei paesini circondanti o nei luogi naturali quasi desolati, sembra una città molto più grande di quella che poi effettivamente è!

Tarija fino alla fine del mese di aprile, ospita una serie di eventi culturali, inseriti nelle programmazione del mese della cultura. Tutti eventi gratuiti e di grande spessore. Ho avuto il piacere di assistere ad un concerto di chitarra classica, ad un concerto Jazz con un gruppo da togliere il fiato: efecto Manadrina in un teatro con un’acustica fenomenale, ho assistito ad uno spettacolo teatrale “solo con esto” con una critica costruttiva della realtà boliviana, ho festeggiato insieme ai tarijeñi il 15 aprile, la giornata della liberazione di Tarija.

D’altra parte la mia esperienza in Mujeres en Accion, mi assorbe molto, soprattutto da un punto di vista emozionale.
5 giorni alla settimana, vado nell’albergue, la casa rifugio dove vivono le adolescenti vittime di violenza sessuale. La relazione con le ragazze e con il personale che vi lavora, si consolida sempre più. Domani io e una psciologa inizieremo un lavoro su quello che in spagnolo si chiama “plan de vida”, ovvero la costruzione del proprio percorso personale a partire dalla consapevolezza di se stesse, delle capacitò e dei sogni.
Domani condurrò il tema dell’identità: sesso e genere e ruoli stereotipati nella società, e dell’autostima. Sono curiosa di vedere come reagiranno le ragazze, e entusiasta di poter gestire il taller.

A volte è difficile gestire le emozioni che provo. Soprattutto quando si toccano con mano le situazioni di violenza.
Non molti giorni fa, abbiamo avuto l’occasione di promuovere il programma Vida Digna, in una feria educativa. Ho spiegato a bambini ed adolescenti che passavano per il nostro stand, l’obiettivo della casa rifugio. Poi ho chiesto loro di scrivere su dei bigliettini cosa rappresentasse per loro la violenza sessuale. Ecco il pensiero che una adolescente di 14 anni ha scritto:
Es lo mas feo que se puede hacer a una mujer, por que atentaron a la dignidad de una mujer y por que jamas serà la misma. Pero casi no se puede hacer nada contra esto, solo quizas despues que ha sucedido. Pero el daño ya està hecho“…” é la cosa più brutta che possa essere commessa contra una donna, perchè commettendola (la violenza sessuale) si attenta alla sua dignità e perchè non sarà più la stessa. Quasi non può essere fatto niente contro questa violenza…perchè il danno già è stato compiuto”;
Un’altra ragazza ha scritto:
Es una agresion que se hace a los niños, niñas y adolescentes, que violan psicologicamente y fisicamente a las personas. Las violaciones se dan en la familia, collegios, calles. Esto es malo por que todos lo que son violados viven con eso toda su vida y quedan marcados“…”é un agressione verso i bambini, le bambine e le e gli adolescenti, una violenza psiologica e fisica verso le persone. Gli stupri avvengono in famiglia, a scuola, per strada. Tutto questo è terribile, perchè tutti coloro che vengono violentati, vivranno tutta la vita con questo trauma e rimarranno per sempre marcati”.
Penso che questi pensieri dimostrino la piena consapevolezza dei bambini e degli adolescenti, su cosa significa essere vittima di violenza, che sia sessuale o psicologica.

Cercherò di aggiornarvi il prima possibile…
Abbracci internazionali…

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Essere madri a 12 anni

Oggi ho vissuto la giornata più dura da quando sono in Bolivia.

Uno dei due progetti con i quali lavoro all’interno del mio servizio civile, gestisce un albergue: la casa delle adolescenti vittime di vilenza sessuale. Oggi vi sono stata…
Le ragazze vivono in una struttura gestita da un team di Mujeres en Accion, la ong boliviana dove presto il mio servizio. Nella struttura lavorano educatrici che in maniera alternata vi rimangono 24 ore su 24, una psicologa e un’assistente sociale.

Su otto ragazze sei sono già madri. La più grande ha partorito a 16 anni e la più piccola a 12. Hanno dovuto rinunciare al loro essere bambine per essere costrette a conoscere troppo prematuramente il sesso. Un sesso violento, commesso da chi si considerava parte della famiglia: che si il patrigno, lo zio, poco importa. Molte sono state rinnegate dalla loro famiglia e per vergogna hanno subito per tanto tempo, prima che l’essere incinta le catapultasse in un’altra dimensione.
Oggi una ragazza di 16 anni, appena tornata dal lavoro, mentre cuciva un pantalone, andava di fretta perchè doveva recuperare il figlio dall’asilo nido, per poi scappare alla scuola serale. Mi ha detto: “quanto è difficile essere madri”!.
Mi si è stretto il cuore. Se ripenso ai miei 16 anni, mi viene in mente un periodo spensierato, con i classici problemi adolescenziali e senza nemmeno immaginare cosa potessere comportare la maternità.

Diana (è un nome di fantasia) invece, è già grande. E’ dovuta maturare troppo velocemente.

Sono furiosa contro gli uomini che cosiderano le donne/bambine come oggetti sessuali, come se fossero delle cose inutili, usa e getta. Come se non avessero diritto alla vita, al gioco, alla felicità.
Sono furiosa contro l’impunità di queste persone.
Sono furiosa contro chi pensa che queste bambine se la siano cercata, che siano responsabili di quello che hanno subito.
Sono fuoriosa perchè la violenza è presente in tutto il mondo…perchè ci sono bambine boliviane, peruviane, argentine, italiane, palestinesi, egiziane, siriane etc. che subiscono violenze: sessuali, psicologcihe, fisiche, morali. Perchè il patriarcato prescinde dallo stutus sociale, dall’età, dalla geografia, dal livello di istruzione.

Queste ragazze hanno una forza incredibile. Stanno provando a costruirsi un altro tipo di vita: lavorano per mettere da parte qualche soldo per poter in futuro affittare una stanza per loro e i/le loro figl@, pagare gli studi e pagarsi il vitto.

Nonostante questo, restano della madri,sole, a soli 16 anni!

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La vita a Tarija!


Hola,
è da un pò che non scrivo. Non perchè non abbia cose da raccontare, ma perchè, per quanto mi riguarda, c’è un momento per tutto e anche per la scrittura.
Oggi ho voglia di raccontare…
Ottenuto il visto per poter rimanere in questo paese per un anno, sono partita alla volta di Tarija.
Tarija…la conoscevo come la città dei fiori, del vino e degli strumenti musicali.
Per me ha una valenza partcolare. E’ la città dove per una anno (in realtà un pò meno) farò la mia esperienza di servicio civile. Ho la mia casa, i due miei progetti di servizio civile (una casa che ospita bambine e adolescenti vittime di violenza sessuale e un progetto più tecnico, di vigilanza alle istituzioni sull’incorporamento negli statuti dipartimentali di una approccio di genere). Sarà qui che approfondirò conoscenze, stringerò amicizie, (nasceranno amori?! non so :-)). Sarà in questa città che vivrò momenti di gioia, tristezza, avrò nostalgia di casa, non vorrò lasciarla quando sarà il momento di terminare questa tappa del mio cammino. Ha una valenza particolare perchè dopo un pò di giri tra Polonia, Argentina, Bologna e Germania, mi fermerò per un periodo superiore ai 6 mesi.
Rispetto agli altri posti dove ho vissuto, l’impatto con la città dei fiori è stato molto positivo. Sarà perchè dopo il traffico, il caos e le dimensioni di la Paz, ho subito avvertito il calore di Tarija: calda, verde, tranquilla ma sopratutto colorata.
Udite, udite vivo in un appartamento sopra la gelateria” Napoli”.
Aspem dal 2008 ha progetti a Tarija: da allora sono passate molte volontarie. Ognuna ha lasciato qualcosa: che sia un poster, un disegno, un libro, medicinali, candele, mappe, lenzuola…si tratta di una casa vissuta, come piacciono a me, con pareti colorate e dipinte. Sulle pareti della mia stanza ci sono degli enormi fiori dipinti a mano. C’è un ampio soggiorno luminoso e accogliente.
Vicino casa c’è il mercado central che vende tutte le cose commestibili possibili e immaginabili. Vi è il reparto carne, frutta, verdura, cereali, pasta. Ma la cosa pià bella è che ci sono tanti “comedor”:ovvero degli spazi ritagliati dalle cuoche che, con i loro pentoloni e le loro padelle colme di cibo, preparato la mattina o sul momento offrono pranzi a prezzi davero popolari. Se a Tarija si vuol mangiare cibo tipico si deve venire in questo posto: ti siedi ad tavolo che condividi con altre persone che stanno mangiando, e ti servono carne, riso, verdura etc. oltre che ottimi refrescos, bevande dai diversi sapori naturali e molto dissetanti.
Ogni giorno vado a piedi verso la sede di Mujeres en Accion, la ONG dove presto servizio, e ogni giorno cerco di prednere strade diverse. In fondo è molto difficile perdersi a Tarija, per lo meno il centro è a scacchiera, come il centro della mia Bari (attimo di commozione:-)). e ogni giorno scopro cose nuove. Mi sneto osservata, più che con malizia con curiosità. sarà per i miei tratti somatici, sarà che quando vado verso Mujeres en accion corro per non arrivare in ritardo. A volte Quando cammino con un passo molto veloce, mi sento quasi in colpa, perchè violo la calma e la tranuqillità della quotidianità. Non c’è frenesia, fretta e ansia, o almeno così sembra.
A differenza della Paz le cholitas tarjeñas portano deeli abiti tradizionali diversi: una gonna più corta e non portano la bobmetta delle pacenas. Quello che condividono con le cholitas de La Paz e in generale con le donne boliviane, è il lavoro immane che fanno. hanno le loro tienditas, e cercano in questo modo di aver un ingresso per dare da mangiare ai loro figli o nipoti.

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Porchè Mac Donald’s è fallito in Bolivia

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In questo video ci sono le persone, i colori, gli sguardi che giornalmente mi capita di incontare…Guardatelo per avere un’idea del magnifico Paese in cui sto vivendo!

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Las y los lustrabotas!

Gresia ha 13 anni e vive a El Alto, un Città 12 km a nord di La Paz.
Studia quando non lavora e adora la matematica. Grecia è uno dei tantissimi lustrabotas (lustra scarpe?!) di La Paz. Lavora per pagarsi gli studi e per aiutare economomicamente la sua famiglia.
Ha il volto coperto perchè se fosse riconosciuto sarebbe oggetto di discriminazione.
I lutsrabotas da 7 anni pubblicano “Hormigon Armado”, un periodico culturale delle e dei lustabotas. Trattano temi ambientali, sociali ma soprattutto si riconoscono come lavoratori, ed esigono un trattamento dignitoso.

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Bono o muerte

A ver, de donde empiezo a contar???
Empezamos por los discapacitados 🙂
Dal 23 febbraio 2012 un centinaio di disabili e i loro familiari, provenienti da tutti i dipartimenti della Bolivia sono arrivati a La Paz dopo lunghi giorni di cammino. E’ stato di grande aiuto la popolazione locale e i volontari che hanno accompagnato i disabili per le salite ripidisse della Bolivia: da Trinitad a Cochabamba per arrivare stanchi ma soddisfatti a La Paz. Sono venuti fin qui per esigere l’attuazione della “ley de trato preferencial”:facilitazioni nell’assunsione nella pubblica amministrazione, pensioni agevolate, sconti sui servizi e un sussidio di 3.000 bolivianos (340 euro) all’anno per le persone con disabilità gravi e molto gravi.
Li ho conosciuti venerdì 24 febbraio e da allora vado da loro ogni giorno. Hanno una forza e una perseveranza, nonostante le loro disastrose condizioni materiali, che mi fanno riflettere. Stando con loro sono entrata a contatto con la povertà: la maggior parte di loro sono poveri (per la dificoltà che hanno nel trovare lavoro e per la mancanza di un sussidio da parte del governo) ma non caritevoli. Hanno una dignità e non vogliono pietà, pretendono diritti! Si è formata una piccola comunità e hanno appoggio da parte di singoli e gruppi di volontari che offrono loro cibo, tè caldo e coperte. Io provo a dare loro sostegno morale e assoluta solidarietà. Quando vado al loro presidio molti mi salutano:” ITALIA, ITALIA”, mi giro e c’è chi mi saluta e mi riempie il cuore. Mi chiedono se nel mio Paese di parla di loro, dato che in Bolivia non sono realmente ascoltati dal governo.Sto bene con loro! Mi sono affezionata soprattutto a un ragazzo in sedie a rotelle, che è venuto con il fratello (uno dei 7 arrestati del giovedì) dal Dipartamento del Beni a 1520 km da La paz. Hanno camminato per 100 giorni prima di arrivare nella capitale. Lui e la sorella sono stati i primi che ho conosciuto venerdì, mi hanno raccontato la loro storia senza mai chiedermi niente. Ogni volta che lo incontro chiacchieriamo molto: lui da adolescente è caduto, è rimasto paralizzato ma dopo due operazioni riuscite bene adesso sta meglio. I medici hanno detto che, se facesse la fisioterapia potrebbe guarire, ma loro (che sono 9 figli e vengono da una famigia contadina) non hanno i soldi per pagarsela. Lui è un insegnante di matematica e fisica (non lavora per una scuola statale, bensì per una scuola della comunità dove vivono e dove a pagare gli studi per i figli sono i genitori, che a volte loro malgrado sono insolventi). Abbiamo parlato tanto, io gli ho parlato di Don Lorenzo Milani e lui mi ha raccontato la sua maniera di insegnare il rispetto alle bambine e ai bambini con i quali lavora.
Il presidio nella piazza antistante Plaza Murillo continua. Ma la stanchezza e la demoralizzazione stanno prendendo il sopravvento: non vi sono bagni chimici, i pasti non sono sempre assicurati ma dipendono dalla generosità di singoli che cucinano per loro, il governo non sembra disposto ad accettare le loro richieste di approvazione della proposta di legge “ley de trato preferenzial“, e non c’è posto per tutti nelle tende che oramai sono presenti per strada.
Lunedì 27 febbraio la disperazione ha portato alcuni disabili a mettere in partica lo slogan “Bono o muerte”. Vi è stato chi, davanti alla stampa, si è fatto cucire le labbra, chi si stava dissanguando, chi ha iniziato uno sciopero della fame. Emozionalemte è stata un’esperienza devastante. Vedere queste persone farsi del male per cercare di essere ascoltate in qualche maniera, e sapere che non si poteva fare niente per impedirlo perchè era una loro scelta personale, è stato terribile.
Tra l’atro un bambino di 7 anni è morto durante la carovana, vicino a Cochabamba, perchè è affogato nel fiume dove lui e la madre si stavano lavando. Nonostante questa dolorosa perdita, la madre disabile e sola ha continuato a marciare con gli altri disabili e l’altra sua figlia, la bellissima Judith di 2 anni e mezzo. Quanti pianti ho condiviso con queste persone!
Vi confesso che è molto difficile capire bene la realtà del presidio e le dinamiche interne organizzative alla carovana. Ci sto provando ma non è semplice.
Di sicuro so che c’è chi vuole proseguire per il Perù dove vi è la sede “de la Regional Latinoamérica de la Organización Mundial de las Personas con Discapacidad (RLOMPD)”, per denunciare il trattamento che ricevono dal governo boliviano, per poi proseguire in Ecuador e stringere legami con il Vicepresidente del Paese anch’egli in sedie a rotelle, Lenín Moreno che si è espresso pubblicamente a favore della causa dei disabili e contro la violenza della polizia negli scontri di giovedì 23 febbraio.
L’altra questione parallela alla richiesta di approvazione della legge è quella relativa alla sitauzione che vivono le 7 persone che sonp state detenute (tra disabili e non) in seguito agli scontri.
Vi racconto un pò quello che sta succendo a questi ragazzi che per la maggior parte hanno meno di 22 anni. Dopo aver passato due notti in cella, sabato 25 febbraio alle 20:00 è stato emessa una sentenza in cui li si rilasciava con l’obbligo di non lasciare il Paese e di presetarsi settimanalmente in caserma per firmare. Lo stesso 25 febbraio, non si capisce bene a che ora, su pressione occulta del governo è stato emesso un ordine di cattura per le stesse persone che poche ore prima erono state liberate. Tra loro vi sono 3 studenti medi e universati di La Paz che vivono particamente agli arresti domiciliari, e 4 persone che hanno partecipato alla carovana. Di questi, due disabili e due familiari di altri disabili. Quest’ultimi hanno vissuto gli ultimi giorni chiusi in una stanza dove dormono una 30 di partecipanti della carovana, con il timore di essere arrestati. Ho parlato con loro, mi hanno raccontato il trattamento umilante che hanno ricevuto in carcere le due notti che sono stati (sono stati una notte nel FELCC: Fuerza Especial de Lucha Contra el Crimen e l’altra nel carcere giudizale) e della loro situazione di perseguitati politici.
Proprio ieri Luis Alberto Araoz un ragazzo di 20 anni di Santa Cruz, mentre andava in bagno nella scuola difronte il presidio, è stato preso da polizotti in borghese e portato via. Nel pomeriggio si è tenuta un’udienza, dove io ho accompagnato Bismarck, il fratello di uno dei perseguitati, dove non è stata emessa la scarcerazione di Luis e dove non è stato ritirato l’ordine di cattura per le altre 6 persone.
Arrivata a questo punto Vorrei raccontarvi di come è inziata la lotta dei disabili che vivono in Bolivia.
I disabili hanno iniziato le loro moblitazione ben 7 anni fa, ma il primo atto significativo si è verificato nel 2008 a Palmasola, Santa Cruz de la Sierra. In quell’occasione venne occupata la YPFB (Yacimientos petroliferos fiscales bolivianos), un’istituzione del governo. Vi furono degli scontri con la polizia che voleva sgomberare il presidio, ma i disabili avevano l’appoggio di più di 20.000 persone. La situazione coflittuale terminò con un compromesso tra la dirigenza della confederazione boliviana della persona con disbilità (COBOPDI), il Ministero della Presidenza e l’attuale senatrice del MAS Garbriela Montaño. In questa occasione il Vicepresidente Álvaro García Linera ha firmato un accordo destinando 40 milioni annuali alle persone con disabilità, affermando che da lì a poco questi soldi sarebbe stato dati ai disabili sottoforma di sussidi annuali, che fino al febbraio del 2012 non erano ancora stato stato emessi. Questo fondo è stato destinato alle persone con disabilità, grazie all’eliminazione delle sovvenzioni ai partiti politici, avvenuto nell’agosto del 2008.
Ad oggi, questi fondi che nel frattempo sono diventati 160 milioni di boliviani, secondo le parole dello stesso Eugenio Rojas del Movimiento al Socialismo (MAS), non sono stati spesi del tutto, e si trovano ancora nelle casse del “Tesoro General de la Nación (TGN)”. Non si capisce perchè non si utilizzi la totalità di questi fondi per tutelare le persone con i diversi tipi di disabilità, non solo dando loro un buono di 3000 boliviani che comunque è irrisorio per la vita di queste persone e dei loro familiari, ma anche supportandoli nella fruizione dei servizi, inserendoli in un contesto lavorativo adeguato.
Il Presidente Evo Morales attraverso il Vicepresidente Álvaro García Linera ha annunciato che a partire da febbraio del 2012 verrà pagato ai disabili un sussidio, solo per quest’anno, di 1000 boliviani, utilizzando solo 20 milioni di boliviani dei 40 che vi corrispondono.

Spero di non essere stata troppo confusionaria, ma anche per me mettere insieme determinati tasselli è uno sforzo.

un abbraccio forte dalla complicata Bolivia 🙂

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